"An incredible sound from CALABRIA"Rolling Stone Magazine
Il tempo rallenta. E rallenta due volte se vivi in un lembo di terra come la Locride, ingoiata dall'incedere di giorni uguali a sé stessi. C'è però chi la ama, a prescindere da tutto. E se non riesci a farle capire agli altri queste cose allora le canti. Domenico Sisto ha fatto così e il titolo del suo disco è la summa di tutti quei pensieri ingoiati, raccontati con lo sguardo, con gesti che si perdono nel tram tram di una quotidianità che tutti hanno voglia di mantenere immutata.
"U tempu rallenta" è uno scrigno di undici tracce, canzoni che non vogliono insegnare niente a nessuno ma che raccontano, danno occhi diversi. Le sonorità che lo caratterizzano hanno poco a vedere con la terra che ha dato i natali al suo autore. Ma ogni centimetro di questo disco sputa fuori una cartolina dei giorni vissuti tra monti aspri e mari luccicanti. Se chiudi gli occhi e non ascolti la voce senti un po' di tutto: un intro ti ricorda la poliedricità di Franco Battiato, scavalcato poi da schitarrate grunge ed echi lontani dei Babybird. Poi ci ritrovi i Beatles, citati volutamente in un pezzo che si innesta sulle note di "All you need is love". E qualche colpo sulle corde di nylon ti richiama i Marlene Kuntz. Un rock melodico e nostalgico, cattivo e dolce al tempo stesso. È questa la ricetta di Domenico Sisto.
E se ascolti quel che dice, tutto quel che ha da dire, ci ritrovi dentro i suoi cento e passa mondi. Ti accoglie con il pezzo che ha anticipato tutto, "Nu jornu". È da lì che è partita la nuova avventura di Domenico Sisto&Omerthà Music Clan, note e parole che guardano al futuro senza staccare gli occhi dal passato. La ascolti e pensi che sia arrivato il momento di correre davanti allo specchio, per guardarti in faccia con occhi diversi. E se vai avanti trovi una cartolina della sua terra, le montagne che abbracciano il mare sotto cieli cupi o illuminati di stelle. Ci trovi la bellezza che fa a cazzotti con la violenza, perché quel che non manca, qui, sono le contraddizioni. Il buono che si veste da cattivo, la cattiveria che ritrova la sua umanità. "Da dove vengo io", la traccia numero due del suo album, è tutto questo. Ti sembra, ascoltandola, di affacciarti dalla stessa finestra dalla quale lui, ogni giorno, da quarant'anni, dà il buongiorno al suo mondo. In questa terra vive e respira passioni e tumulti, il lucido disincanto con cui guarda il mondo, il ruvido romanticismo senza ipocrisie che canta in "Si tu", subito mitigato da "Sono qui", dove quella ruvidezza scompare e lascia il posto ad un uomo spogliato da ogni difesa ma non per questo meno cosciente. E l'amore torna in quell'altro pezzo, "U jocu di l'amuri", dove racconta i primi dolori di un sentimento che tutti cantano, senza trovare mai le parole giuste per spiegarlo fino in fondo. Ci trovi lo stupore, i sapori di quel viaggio che ti conduce alla vita adulta. C'è tutto ma c'è soprattutto l'amore. L'amore per le donne, per la musica, per la sua terra, appunto. Una terra che come una donna sa essere dolce e infingarda al tempo stesso, capace di ricondurti sempre nel suo grembo. E lui non lo nasconde, anche se svela tutto solo alla sua fine, nella track che dà il titolo al suo disco. "U tempu rallenta" è la numero undici. E la domanda che si pone, in fondo, la pone a tutti: dove sono finiti i tuoi sogni?
È una specie di biografia, un riassunto di tutto quello che si è appena finito di ascoltare. Lontano da qui, da queste contraddizioni, dai dolori e dagli umori, non si può vivere. Nonostante le ferite. Perché «lontano da questo mare posso solo annegare». Anche se altrove, magari, il mare non c'è.