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Il Blog di Out

Il tempo ci tritura come farina fina senza curarsi particolarmente di dare coerenza alla Storia del mondo, creando pieni e vuoti, riflussi e progressi figli del genio dei popoli. C'è chi è riuscito a rendersi cool e chi non ha mai potuto liberarsi da un immanente senso di sconfitta. La razza maledetta, i Calabresi, leggendari uccisori di Cristo e eterne vittime di se stessi, non hanno avuto meno disgrazie degli Scozzesi, né meno cornamuse, ma nel Bruzio non è mai nato uno Stivell, dei Tannahill Weavers, dei Chieftains che nobilitassero la musica popolare e la portassero su un livello di fruibilità pop. La Calabria ha perso il treno del folk revival '60-70 anche perché periferia delle periferie, gli anni '80 li ha passati a guardare Canale Cinque, la musica tradizionale è stata tenuta su dalle vecchie glorie, dai menestrelli come Otello Profazio ai geniali giullari come Micu u Pulici.

E poi… e poi un'esplosione di meta-folk, para-folk, folk-folk, root-folk, tarante a destra e a manca, festival dove sfoggiare gonne a fiori e barbe impomatate da birra cheap e tavernello. La discesa del campano Eugenio Bennato a Caulonia (RC) ci ha perlomeno fatto rispolverare l'organetto e i balli a ruota, ma il power-folk del suo Taranta Power ha fatto notevoli danni, appiattendo e trasformando molte cose in un insopportabile tunz tunz. Stendo un velo pietoso su certi tentativi folk-pop degni della benedizione di Morfeo, rimuovo anche i tentativi malriusciti in cui mi sono imbattuto in passato e ho recensito e non linko (per carità). Però, almeno un pizzico di autocoscienza ha giovato, qualcosa è emerso.

Ritornano due nomi degni di rispetto, come quello degli Omerthà di Domenico Sisto e quello di Mimmo Crudo.

Gli Omerthà sono stati uno dei più interessanti esperimenti rock nel sud Italia figlio della nascita dell'Indie anni '90, sono circolati per alcuni anni per poi sparire e riemergere con un progetto rock venato di nostalgica calabresità ("Da dove vengo io"), con un uso del vernacolo tagliente e saporito, che non cede mai all'oleografia, alla nostalgia dei bei tempi andati, ma getta uno sguardo lucido e profondo sugli anni Zero e li guarda da Sud. Un team solido, una bella voce e chitarre soniche alla ricerca di un brillante wall of sound ("Bella comu na stella").

Un disco doppiamente figo (consentitemi il giovanilismo) che ricorda le lunghe notti sulla Ionica a scambiarsi nastri e alzare il volume perché a casa non si poteva amare il rock'n'roll.

Nostalgia a parte, direi che è un disco che mi resterà sulla pelle e nelle orecchie.